11 agosto 2017
In una fredda ma sempre meravigliosa Trieste, a metà dicembre, è stata inaugurata la mostra “Nazario Sauro. Iconografia di un Eroe 1916-2016” a cura di Piero Delbello direttore dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata. Visitabile fino al 29 gennaio.
La mostra, ospitata nei locali del Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana e Dalmata di via Torino 8, raccoglie fotografie e documenti sull’eroe capodistriano ed in particolare sul monumento costruito nella sua città natale. Il presidente dell’IRCI, Franco Degrassi, inaugurandola si è chiesto “Cosa rimane della storia e dei sentimenti risorgimentali? Quanti ancora portano avanti la memoria di momenti di coraggio che hanno fatto l’Italia? Come ricordiamo i martiri ed eroi della Grande Guerra?”
E fra i martiri della prima guerra mondiale non si può non ricordare Nazario Sauro. Nato a Capodistria il 20 settembre 1880 “dieci anni dopo la breccia di Porta Pia, due anni prima del sacrificio di Guglielmo Oberdan”. Nato in una città austriaca ma di lingua e sentimenti italiani.
A questa lingua, a quei sentimenti, sarà fedele fino al sacrificio. La mostra dedica un’intera sala al monumento costruito a Capodistria per ricordare l’eroe ed il suo olocausto. Inaugurato nel 1935 – dopo la prima guerra mondiale la città istriana era finalmente divenuta italiana – ma smantellato dai tedeschi nel 1944, per sostituirlo con una torretta di avvistamento, ed infine fuso dagli jugoslavi alla fine della seconda guerra mondiale.
Le foto esposte ci raccontano un mondo, per tornare alle domande di Degrassi, in cui la memoria dell’eroismo non era soltanto retorica ma insegnamento e valore fondante.
Ci raccontano il coraggio che diventa divinità – la vittoria della guerra rappresentata come Dea Alata – e l’amore tra madre e figlio che è tale se s’incarna nella famiglia più grande, la Patria.
Nazario Sauro venne catturato il 30 luglio 1916. Sottoposto a processo fu riconosciuto come cittadino austriaco – Capodistria è stata austriaca fino alla vittoria – da vari concittadini tra cui Luigi Steffé. Il cognato. Infine messo a confronto con la madre e la sorella che, per provare a salvarlo, negano di conoscerlo. E fino alla fine Sauro e la madre fingeranno di non conoscersi. E negheranno a se stessi il conforto di un abbraccio o di un’ultima parola d’affetto. Ma non servirà ed il 10 agosto il cappio del boia strozzerà l’urlo di libertà “Viva l’Italia!”.
Le foto presenti nella mostra riescono a far comprendere e sentire la commozione ed il senso di eternità dell’amore filiare che il monumento trasmetteva.
La mostra, tra molte altre curiosità, espone la targa affissa sulla casa natale di Sauro – in realtà una perfetta copia perché l’originale fu distrutto dai titini nel 1945 – e altre foto tra cui un’inedita di Nazario Sauro accorso ad Avezzano per aiutare dopo il terribile terremoto della Marsica del 1915 – 30.000 morti in mezzora –.
Da segnalare il catalogo della mostra. Davvero ben fatto e ricco di approfondimenti ed omaggi dedicati a Nazario Sauro tra i quali ci piace segnalare quelli di Sem Benelli e di Gabriele D’Annunzio. Una mostra, nel centenario della morte dell’Eroe, che merita di essere visitata e diffusa in tutta Italia. Soltanto una Nazione ignara e sconfitta può dimenticare l’importanza della memoria e del racconto delle gesta epiche dei suoi figli. Non solo come rispetto ma anche e soprattutto come insegnamento per il presente ed il futuro.
Il 13 gennaio 1915 saputo del terremoto la parte migliore dell’Italia – Nazario Sauro in testa – accorse per aiutare i fratelli sepolti sotto le macerie.
E nonostante tutto la storia ci racconta che, passati cento anni, quello spirito, quella voglia, quell’amore anche se dimenticato ancora scorre nelle vene dei figli di quella che qualcuno vorrebbe fosse solo “un’espressione geografica” ma che è e rimane, nel nome di Sauro e tanti altri, ancora e sempre una Nazione.