Romano Sauro venerdì 29 settembre 2017
Caro direttore, «Il mare dentro di me», «Il mare ti sorprende…», «Il mare avvicina l’uomo alla libertà». Sono parole di Amalia, Benedetta e Riccardo, studenti di Afragola …
Caro direttore,
«Il mare dentro di me», «Il mare ti sorprende…», «Il mare avvicina l’uomo alla libertà». Sono parole di Amalia, Benedetta e Riccardo, studenti di Afragola, saliti sulla mia Galiola III per una breve navigazione da Napoli a Torre del Greco. Ragazzi simpatici e aperti. Navigare con loro è stata un’esperienza che mi ha dato molto, come l’incontro nella loro scuola, l’Istituto superiore Sandro Pertini, dove sono andato per parlare di mio nonno Nazario Sauro e della Grande Guerra sul mare. Non sono stati né i primi né gli ultimi, ma fanno parte di una nutrita e variopinta ciurma che mi accompagna da ben 49 porti, da quando a ottobre 2016 sono salpato da Sanremo inaugurando il progetto Sauro100 (“Un viaggio in barca a vela per 100 porti per 100 anni di storia”), che – come i lettori “Avvenire” già sanno – mi vedrà giungere a Trieste a ottobre 2018 dopo aver toccato chissà quanti porti ancora: dovevano essere 100, sono già adesso 135! Ce ne saranno altri 80, forse più, e questa ciurma ideale diventerà sempre più numerosa. In barca portano tutto di loro: entusiasmo, un po’ di paura, alcuni si sentono nel loro ambiente e la scoperta li elettrizza, altri quando arrivano in porto mettono piede a terra con sollievo.
Ma tutti lasciano a bordo un pezzo del loro essere giovani. I loro pensieri sono semplici e genuini, le azioni dirette. All’inizio sono intimiditi, forse confidavano in una “crociera” confortevole o in una barca un po’ più grande, ma poi il mare e il vento fanno sempre il loro mestiere… la costa, la nostra costa italiana, i piccoli paesi sulla riva, i nostri borghi, visti con la luce del tramonto, beh… con questi “complici” il risultato è scontato e nei loro visetti leggi la felicità. Afragola. Ero stato invitato lì a tenere la mia conferenza.
Di Afragola avevo sentito parlare, non proprio bene. Interland napoletano. Nella mente dell’uomo comune si scatena una serie di collegamenti: camorra, “terra dei fuochi”, Gomorra. Pochi giorni prima del mio arrivo a Napoli avevo letto un articolo su un quotidiano on-line: «Sangue ad alta velocità nel Napoletano, 7 morti in 10 giorni ad Afragola». Non erano proprio i presupposti ideali per andare a parlare del mare e dei suoi valori agli studenti di quella città martoriata, ove è difficile qualsiasi cosa. Oppure era proprio il momento giusto? Tutte le volte che entro in una scuola ho qualche ansia: saranno interessati? faranno domande? mi capiranno? È come entrare in una fossa dei leoni. Loro ti studiano, bisbigliano, commentano, partecipano. Alcuni più, altri meno. Fanno finta di non seguire. O di seguire. Ridono.
Ti giudicano. È sempre dura. Con gli adulti è più semplice e posso indulgere con la retorica, ma con loro no, non puoi sbagliare. Ormai ne ho incontrati migliaia e finora mi è sempre andata bene, ma Afragola mi sembrava una gran bella sfida. Anche i professori mi avevano avvisato: «Non sia pesante o ampolloso», «alcuni hanno scarsa concentrazione», «qui, ad Afragola, l’avrà letto sui giornali…». Paesi ai piedi di un vulcano, sono essi stessi vulcani, eruttano problemi insormontabili.
Di notte dal mare si illuminano di fuochi d’artificio quasi a esorcizzare la grande montagna dormiente e c’è festa, ma di giorno i problemi sono lì e i più giovani non riescono a lasciarli fuori della scuola. Avevo timore, i ragazzi erano davanti a me e mi guardavano, ma erano splendidi come lo sono tutti i giovani, ovunque. Alla fine sono stato semplicemente me stesso. Ho iniziato a parlare e ho percepito che non erano poi così lontani. Anzi, ascoltavano attentamente, rapiti da quello che dicevo. Ho deciso di approfittarne e, partendo dalla storia di mio nonno Nazario, ho insistito sui valori di libertà, solidarietà, giustizia, impegno, fedeltà, lealtà. Ho messo insieme racconti e ricordi, storia studiata e vita vissuta. Ascoltavano. Il tempo scorreva, la campanella della ricreazione era suonata e loro erano rimasti seduti. Forse rapiti dalle mie storie di mare e di ideali? Storie vecchie di cento anni, ma evidentemente ancora attuali? Li guardavo e dentro di me provavo profondo rispetto: se la loro vita non è quella che merita un ragazzo di quell’età, certamente la colpa non è loro.
Nonostante le difficoltà quotidiane, in quegli occhi ho letto speranza e fiducia, anche entusiasmo, sicuramente voglia di conoscenza e di libertà. Erano gli stessi occhi che ho visto ovunque in questi mesi, negli studenti di Sanremo, di Talamone, di Olbia, di Terracina, di Livorno, di Torre del Greco, di Napoli: gli occhi della spensieratezza, del desiderio di cambiare e di credere in qualcosa. Gli occhi degli studenti di Afragola. Gli occhi per cui ogni volta sento che vale veramente la pena raccontare la storia della mia famiglia, di mio nonno Nazario, che prima di morire scrisse ai figli di «giurare per la Patria», patria come «plurale di padre». Dopo Afragola e i suoi splendidi ragazzi ne sono ancora più convinto: vale sempre la pena raccontare dei valori in cui credeva Nazario Sauro e con lui tanti altri giovani di cento anni fa, in fondo così uguali ai nostri.